In hoc signo vinces?
Racconta Eusebio di Cesarea, Vescovo e stretto
collaboratore di Costantino I che nei giorni precedenti al famosissimo scontro
di Ponte Milvio contro Massenzio, l’Imperatore e le sue truppe avrebbero assistito
al prodigio dell'apparizione di un incrocio di luci sopra il sole e della
scritta ἐν τούτῳ νίκα, sotto questo segno vincerai. Nella notte successiva gli
sarebbe apparso Cristo, ordinandogli di adottare come proprio vessillo il segno
che aveva visto in cielo. Nei giorni successivi Costantino avrebbe chiamato dei
sacerdoti cristiani per essere istruito sul cristianesimo, religione il cui
contenuto non gli era ancora noto. Costantino inoltre avrebbe fatto precedere
le proprie truppe dal labaro imperiale con il simbolo cristiano del chi-rho,
detto anche monogramma di Cristo, formato dalle lettere XP (che sono le prime
due lettere greche della parola ΧΡΙΣΤΟΣ cioè "Christòs") sovrapposte.
Sotto queste insegne i soldati sconfissero l'avversario. Da quel momento le
persecuzioni finirono definitivamente, Costantino e Licinio propugnarono il
famoso Editto di Tolleranza (Editto di Milano, 313 d.C.) e lentamente l’Impero
adottò il Cristianesimo come unica religione di Stato.
Il crocefisso divenne allora il simbolo per eccellenza
della cristianità. Anche se non c’è alcun altro riscontro storico dell’evento
raccontato dal vescovo Eusebio, la legenda del “in hoc signo vinces” è una
delle piú conosciute e diffuse nel mondo cristiano. La conversione di
Costantino I però va letta i chiave di pacificazione dell’impero, dove i
Cristiani dei primi secoli erano diventati un fattore destabilizzante, (e la
diffusione del Cristianesimo è infatti considerata da alcuni studiosi uno dei motivi
del crollo dell’Impero Romano). Questa legenda resistette ai secoli, tanto che
anche i Crociati adottarono la croce come loro simbolo, accostando al “DeusVult” (dio lo vuole, il grido con cui Urbano II incitò i cavalieri a
riconquistare la Terrasanta dominata dagli “Infedeli Invasori”) l’antico
riferimento a Costantino. Quindi la Croce, da segno distintivo dei cristiani,
simbolo di pace, sacrificio e martirio (quello di Gesù per noi secondo la teologia
cristiana), divenne un simbolo di morte e distruzione, a protezione di invasati
che andavano ad uccidere altre persone solo perché credevano in un dio diverso
dal loro. E scatenando quella guerra di civiltà che ancora si protrae e dietro cui
si nascondono interessi ben piú consistenti del salvataggio delle anime.
Per non parlare di quello che accadde dal XV
secolo in poi, dopo la scoperta dell’America e l’apertura di nuove rotte
intorno al globo. La croce venne usata per sottomettere i popoli indigeni di
America ed Africa, costretti alla conversione forzata e ad entrare nell’esercito
di dio sotto il simbolo della croce, deturpato ancora una volta del suo reale
significato ed utilizzato come arma per colpire nella carne e nello spirito
delle persone che vivevano la loro fede e i loro dei. E taccio sulle torture e
i crimini dell’Inquisizione per mancanza di tempo.
Il crocefisso si impose nei secoli e comparve in
ogni luogo, pubblico o privato, moltiplicato e ricopiato, ostentato e non compreso.
Un simbolo di morte e di sottomissione per molti, costretti ad inchinarvisi per
non perdere la propria vita. Divenuto con il tempo un simbolo del male,
nonostante sia esso originariamente nato per ricordare un atto d’amore.
Bisogna aspettare il XVII secolo e l’illuminismo
per incominciare a liberarsi, almeno teoricamente, della pesante presenza dei
simboli religiosi nella concezione di Stato. “Libera Chiesa in libero Stato” è
uno degli enunciati piú famosi del pastore calvinista francese Alexandre Vinet,
ripresa poi dal francese Charles de Montalembert e da Cavour in occasione del
suo primo intervento al parlamento dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il
17 marzo 1861, che portò alla proclamazione di Roma come capitale del regno. La
Città Eterna restava ancora tra i domini papali (lo sarebbe stato fino al
1870), e secondo Cavour il Papa doveva dedicarsi unicamente al potere
spirituale dimenticandosi il potere temporale sui suoi possedimenti; ciò
avrebbe permesso la convivenza fra Stato e Chiesa. La presa di Porta Pia e
l’annessione degli ultimi territori dello stato della Chiesa al Regno d’Italia
sancirono la fine del potere temporale della chiesa ma aprirono anche una
frattura, tutt’ora non sanata, tra Laicisti e Clericalisti.
Frattura che si evidenzia ogni volta che si prova
a separare il piano laico da quello religioso dei cittadini. Come per le
polemiche, a mio avviso sterili e dogmatiche sul crocefisso nei luoghi
pubblici. Sterile perché non c’è altra soluzione che separare i due piani di
vita. La religione e la fede devono attenere alla vita privata e spirituale di
ognuno, mentre lo Stato deve vigilare sul pacifico svolgimento della vita dei cittadini,
senza imporre dogmi ma permettendo la piena autodeterminazione dei singoli. La libertà
di culto, sancita dalla Costituzione va a cozzare con la richiesta di mantenere
in piedi un insieme di tradizioni legate alla religione cattolica cristiana. Come
quella del crocefisso nei luoghi pubblici, (ma anche delle rappresentazioni di Natale,
il presepe o il rispetto delle festività religiose), che scatena sempre forti
polemiche tra chi vede nella rimozione di certe tradizioni una resa all’Islam e
chi invece ci vede semplicemente una affermazione del principio di uguaglianza
di fronte allo Stato.
La questione è sicuramente molto complicata ma anche
molto di facciata. “Gioca con i fanti ma lascia stare i Santi” verrebbe da
dire, visto che la maggior parte degli italiani sono piú o meno dichiaratamente
lontani dalla chiesa e non seguono proprio perfettamente i precetti della
religione. Eppure, non toccategli il crocefisso appeso al muro di una classe! Perché
nei secoli il simbolo (il crocefisso) ha sostituito il messaggero (chi é
crocefisso), prendendo dal messaggio evangelico solo quello che faceva piú
comodo. La chiesa in questo senso ha fatto molto per difendere il potere
secolare, dimenticando spesso che “va dato a Cesare quel che è di Cesare e a Dio
quel che è di Dio” (Matteo 22,21).
Non va poi dimenticato che la nostra civiltà è,
volenti o nolenti, multiculturale e non tutti accettano di vedere rappresentato
una qualsiasi divinità in un luogo pubblico. E non parlo solo della minoranza
Islamica, ma anche degli Ebrei, gli Agnostici, gli Atei. Persone che potrebbero
risentirsi di essere a tutti gli effetti partecipi della vita italiana e
contribuire con le loro tasse ed essere contemporaneamente sottoposti al
rispetto di un simbolo per loro culturalmente cosí nefasto. Per questo lo Stato
non deve assolutamente confondersi con la religione ed essere super partes,
rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana.” (Art. 3 della Costituzione Italiana). Lo Stato è anche loro,
non bisogna dimenticarlo. Certo, potreste dirmi che ci sono decine di scuole
private in cui mandare i propri figli, ma la stessa cosa si potrebbe dire dei
cattolici credenti: mandate i vostri figli nelle scuole cattoliche e lasciate in
pace la scuola pubblica e laica, che ha problemi ben piú gravi che appendere
simboli religiosi.
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