Plastic Free: utopia o sogno realizzabile?


Greta Thunberg e il movimento Friday for future stanno riportando la questione climatica al centro del dibattito politico dei paesi occidentali. Tra i molti Gretini e gli altrettanto numerosi cretini, gli accesi scambi portano molti a interrogarsi sul destino della nostra civiltà e della sua sopravvivenza su questo pianeta.  Molti dei detrattori di Greta la accusano di essere troppo estremistica nei suoi propositi e che le sue idee circa la riduzione dell’utilizzo della plastica e dei derivati chimici in genere sia non solo impossibile da implementare ma soprattutto dannosa per la filiera produttiva e per il mantenimento dello stile attuale di vita. Ma è vero che una società plastic free sia cosí impossibile da costruire?

La nostra società attuale è invasa dalla plastica. Ormai la maggior parte degli oggettini vari che compriamo, dalle stoviglie alle cianfrusaglie vendute nei negozi cinesi o negli euro shop sono composti (e imballati) per il 95% in materiale plastico. La storia della plastica è davvero interessante e comincia da lontano: con il passare del tempo e l’accumularsi delle scoperte, si rivelò essere un materiale economico, duttile e performante che prometteva di sostenere il progresso tecnologico ed abbattere drasticamente il prezzo dei prodotti (e conseguentemente di quadruplicare i profitti dei produttori). La sua diffusione divenne capillare in tutti gli aspetti della nostri vita, dal trasporto di bevande e merci fino anche all’industria tessile, e la successiva diffusione del benessere e di una cultura sempre piú consumistica si sposò bene con questo materiale versatile ed economico.

Per questioni economiche, molti settori hanno cominciato ad approfittare troppo di questo materiale cosí prezioso (e altamente inquinante) arrivando ad eccessi clamorosi, specie per quanto riguarda trasporto e mantenimento degli alimenti. La plastica, con la sua leggerezza, impermeabilità, resistenza agli sbalzi di pressione e di temperatura, è un ottimo prodotto di imballaggio. Vi sfido ad entrare in un supermercato e riuscire a non prendere nemmeno un prodotto impacchettato in plastica: dalla frutta ai detersivi, dal pane alle merendine fino anche al caffè ed alle bevande, tutto o quasi viene plastificato. Raggiungendo eccessi eclatanti come la frutta già sbucciata. Tanto invasiva che il nostro mondo sarebbe molto diverso se da un giorno all’altro la plastica scomparisse dalla faccia della terra. È quindi chiaro come il problema sia ben piú profondo e sicuramente di piú complicata soluzione di quanto ideologicamente ci si voglia far credere.

E ‘vero anche che il riciclo da solo non basta. In primis perché non tutto il materiale plastico è riciclabile (negli ultimi anni è cresciuta la quantità di packaging composto da diversi materiali (poliaccoppiati) difficili, se non impossibili, da riciclare.), ma soprattutto perché invece di riutilizzare la plastica, fino ad ora ci siamo limitati a venderla a paesi terzi (prima la Cina,  ora dopo il suo stop all´importazione, Turchia e altri paesi principalmente del Sud-est asiatico) e non dotati di regolamentazioni ambientali rigorose, sono diventati le principali destinazioni dei rifiuti occidentali. Se consideriamo poi che produrre plastica vergine spesso costa meno rispetto a quella riciclata, è facile rendersi conto che, anche se delle tipologie di plastiche sono tecnicamente riciclabili, non significa che saranno riciclate perché trovano difficile collocazione sul mercato. Pertanto, il riciclo può essere solo una soluzione parziale e di transizione verso una graduale eliminazione del packaging. Per non parlare di quelle realtá in cui le ecomafie si infiltrano, rendendo non solo vano il lavoro di ogni singolo cittadino di separare la plastica, ma anche pericoloso per l’ambiente visto il modo in cui si liberano del materiale plastico (e non solo). Insomma, non se ne esce facilmente.

La scienza sta da lungo tempo studiando dei materiali sostitutivi della plastica e grandi passi avanti in tal senso sono stati fatti. Ma Greenpeace fa notare nel suo report “Il Pianeta usa e getta. Lefalse soluzioni delle multinazionali alla crisi dell’inquinamento da plastica” che le soluzioni promosse dalle multinazionali degli alimenti e delle bevande non fanno altro che usare bioplastiche non compattabili senza ridurre a monte la mole di produzione di packing usa e getta. Secondo l’associazione ecologista, le grandi aziende dovrebbero impegnarsi ad eliminare la plastica monouso, riducendo il numero di imballaggi e contenitori di plastica immessi sul mercato e investendo in sistemi di riconsegna alternative basate su sfuso e ricarica. A invertire la rotta non basta quindi che sempre piú persone preferiscano acquistare prodotti sfusi e impiegare contenitori riutilizzabili. Nonostante gli imballaggi rappresentino circa il 40% di tutta la plastica prodotta nel mondo, infatti, secondo Greenpeace nessuna tra le grandi multinazionali si è impegnata a ridurre veramente la produzione di packing monouso, investendo in sistema di consegna basati sullo sfuso e sulla ricarica. Per esempio, la bottiglia NaturAll presentata da Nestlé come bio è prodotta per il 70% di materiale palstico tradizionale. È bene quindi diffidare dalle scritte bio o eco riportate nelle confezioni. Gran parte delle tecnologie attualmente disponibili non consentono l´ utilizzo di materiale compostabile per l’intera produzione di bottiglie e simili. Tra l’altro la maggior parte della plastica a base biologica è prodotta da materiale organico (mais soprattutto) che richiede comunque energia per essere prodotta. Immaginate quanta dell’attuale produzione agricola dovrebbe essere riconvertita per consentirci di avere la comodità e praticità do cestinare il contenitore della nostra bevanda preferita?

Quindi il punto è: se ormai la plastica ha invaso ogni ambito della nostra vita (anche i tasti della tastiera del mio pc sono in plastica, per non parlare della sedia su cui sono seduto o del tappetino del mouse), è possibile vivere senza? Sicuramente si può ridurre il suo utilizzo o addirittura eliminarlo in certi ambiti, usando responsabilmente quello che, a tutti gli effetti, è uno dei materiali piú importanti per il nostro sviluppo. Il problema è: coma fare? Ci sono diversi suggerimenti, vi rimando ad un interessante e secondo me completo decalogo stilato Daniela Ferrari nel luglio scorso per la pagina www.goingnatural.it. Credo che comunque al di la di questi ottimi e semplici suggerimenti, sia davanti agli occhi di tutti la realtá dei fatti, e cioè che bisogna fare qualche rinuncia per poter pensare di cambiare le cose. E sicuramente, per quanto riguarda la plastica, non sono rinunce né pesanti né difficili da implementare, ma semmai un ritorno ad un passato più sano e piú naturale.

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